Smart glasses: privacy a rischio?
- Maria Valeria Feraco
- 1 set 2022
- Tempo di lettura: 4 min

Gli appassionati della filmografia anni ’80 ricorderanno i videoglasses indossati dai figli di Marty Mc Fly nel 2015 immaginato dalla fantasia di Robert Zemeckis nella trilogia cult di Ritorno al futuro, o gli occhiali a raggi X utilizzati da James Bond in Octopussy – operazione Piovra.
Da alcuni anni, con il lancio dei Google glasses e, dal novembre dello scorso anno, con la commercializzazione dei Ray-Ban Stories, lanciati da Ray-Ban con la collaborazione di Luxottica, oggetti simili sono usciti dall’angusto ambito dei gadget cinematografici e sono entrati nel mondo reale, portando con sé, insieme a grandi opportunità[1], una serie di problematiche etiche e legali che – nel caso dei Ray-Ban – sono rese ancor più impattanti dall’interconnessione alle piattaforme social di Meta (Facebook, Instagram etc.)
È evidente infatti come le funzionalità proprie degli occhiali intelligenti (scattare foto, registrare video condivisibili attraverso le piattaforme social ) mettano potenzialmente a rischio la riservatezza tanto degli utilizzatori, quanto di coloro che possono essere involontariamente ed inconsapevolmente ripresi o registrati da chi li utilizza.
Si tratta di potenziali pericoli che sono stati oggetto di indagine da parte della stessa Meta nel contesto di un più ampio rapporto sui diritti umani, commissionato proprio al fine di valutare la possibilità che le piattaforme vengano usate per abusi online e per alimentare la violenza nel mondo reale, specie in determinati contesi, luoghi ed eventi. Nel capitolo del rapporto dedicato ai Ray-Ban Stories, lo strumento indicato per fronteggiare i rischi per la privacy e di violazione della dignità e del diritto alla non discriminazione, viene individuato nello sviluppo di una politica di “utilizzo accettabile degli occhiali”, con l’implementazione di una funzione "non disturbare" e di altri segnali per gli astanti o la possibilità di etichettare i contenuti come provenienti dal dispositivo quando vengono condivisi.
Al momento, sembra tuttavia che tali raccomandazioni non siano state del tutto recepite, considerando che ad oggi il modo per avvisare gli astanti che i Ray-Ban stanno fotografando o registrando è rappresentato unicamente da un piccolo LED bianco che, come da più parti osservato, può risultare invisibile a una certa distanza o in giornate particolarmente soleggiate. Perplessità condivise dal Data Privacy Commisioner (l’Autorità irlandese di garanzia della protezione dei dati personali) che ha osservato come "se è vero che è accettato che molti dispositivi, inclusi gli smartphone, possano registrare altre persone, si tratta di norma di fotocamere o telefoni riconoscibili mentre la ripresa è in corso, avvertendo chi vi sta davanti. Con gli occhiali, c'è un indicatore luminoso molto piccolo che si attiva al momento della registrazione. Non è stato dimostrato al DPC e al Garante della Privacy che Facebook e Ray-Ban abbiano effettuato un numero adeguato di test per appurare che questo tipo di segnalazione luminosa sia efficace”.
Se dunque sembrano per un verso innegabili i rischi connessi all’utilizzo di smart glasses, bisogna tuttavia riconoscere i benefici che questi strumenti possono apportare alla quotidianità degli utilizzatori, in particolare ai portatori di disabilità che impediscono o limitano l’utilizzo delle mani.
Ed allora, come garantire i diritti di tutti in un contesto dove la tecnologia si muove – evidentemente - ad una velocità molto superiore rispetto a quella con cui si evolvono il diritto e la giurisprudenza? La soluzione non può, evidentemente, essere quella di comprimere eccessivamente le esigenze della ricerca e dell’innovazione, foriere di strumenti in grado di migliorare la qualità di vita delle persone.
La chiave, per il Garante per la protezione dei dati personali, sta in una parola: consapevolezza. In un contesto, come quello italiano, dove il livello di alfabetizzazione digitale è ancora molto basso, diventa cruciale aumentare la consapevolezza, per un verso, delle persone circa la possibilità di finire, anche per caso, in foto e video prodotti da persone o aziende e, per altro verso, della necessità del rispetto di limiti etici e legali da parte degli utilizzatori.
Ed infatti, se è pacifico che nei luoghi pubblici non possa esservi una ragionevole aspettativa di riservatezza, tale aspettativa sussiste ed è tutelata ( anche penalmente) nei luoghi ove si svolge la vita privata. In tal senso l’art. 615 bis c.p. punisce “chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata”, fattispecie il cui ambito di operatività è stato esteso dalla giurisprudenza della Cote di Cassazione in modo da ricomprendervi tutti quegli ambiti ove la persona si trattenga per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata per ragioni personali o professionali (come ad esempio, lo spogliatoio di un circolo sportivo, un ambulatorio medico, uno studio professionale).
Occorre dunque una campagna capillare di comunicazione e sensibilizzazione che dovrebbe essere condotta tanto dalle aziende che lanciano sul mercato prodotti innovativi, in ossequio al principio della responsabilità sociale d’impresa, quanto dalle istituzioni.
[1]Recentemente, ad esempio, è stato eseguito presso la Clinica Sant’Ambrogio di Milano un intervento con procedura da remoto di sostituzione di defibrillatore sottocutaneo, con utilizzo di smart glasses. La procedura è stata eseguita su un paziente di 53 anni affetto da una grave cardiopatia con rischio di morte improvvisa. "Tradizionalmente l’impianto di defibrillatore sottocutaneo necessita della presenza in sala operatoria di un ingegnere mentre, grazie agli smart glasses, l’operatore assiste da remoto il chirurgo, inviandogli tutte le informazioni e i parametri necessari a settare il defibrillatore. Gli occhiali tramite telecomunicazione a banda larga, permettono di mostrare ‘live’ procedure chirurgiche, nonché di assistere e collaborare con i chirurghi e gli operatori sanitari", hanno spiegato dalla struttura sanitaria.
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